martedì 17 novembre 2020

Make-up e Cosmesi: gli antichi rituali di bellezza

Uno dei temi più discussi negli ultimi tempi è quello relativo all’abuso di filtri fotografici e ritocchi di chirurgia estetica: grazie a pochi passaggi spariscono le occhiaie, si ottiene una pelle più sana o si conquista il fisico dei propri sogni. Un dibattito attuale che tuttavia affonda le sue radici nella notte dei tempi. Una testimonianza del complesso scontro tra essere e apparire risale al II secolo d.C. quando Galeno, uno dei più famosi medici dell’antichità, distinse nettamente la “buona” cosmesi (kosmetiké techne), che proponeva un aspetto sano e curato, e la “cattiva” cosmesi (kommotiké techne), che permetteva di alterare il viso e l’aspetto mediante l’utilizzo della tintura dei capelli e del trucco.

La volontà di rendere unico il proprio corpo risale all’ età preistorica: 5000 anni fa l’Uomo del Similaun, Ötzi esibiva sul suo corpo ben 61 tatuaggi, piccole incisioni praticate nella pelle (forse per curare l’artrite) ricoperte da carbone vegetale. Straordinari disegni di animali simbolici invece sono stati tatuati sulle braccia della principessa Ukok morta in Siberia 2500 anni fa.  

 

In Mesopotamia la cosmesi era diffusissima tra la popolazione a causa delle particolari condizioni climatiche che rendevano necessaria una protezione della pelle esposta alle aggressioni del vento e del Sole. La detersione del corpo e l’applicazione di olii profumati rappresentavano un rituale quasi religioso.

"L'olio e il profumo rallegrano il cuore" (Proverbi, 27,9): anche la Bibbia cita molte piante e sostanze da cui produrre profumi e unguenti, basti pensare ad esempio al nardo o alla mirra.

La cura del cuoio capelluto preveniva l’insorgere di parassiti e l’attenzione prestata ai capelli e alla barba denotavano specifici messaggi politici, sociali e religiosi. Ampiamente diffuso era l’impego di parrucche, soprattutto tra i ranghi più elevati della società.

Numerosi sono i ritrovamenti archeologici relativi al mondo del maquillage. Il MuseoEgizio di Torino ad esempio conserva uno splendido esempio di cofanetto da toeletta risalente al 1425–1353 a.C. appartenente a Merit, moglie dell’architetto Kah. 


Questo bellissimo beauty case ci stupisce non solo per la straordinaria modernità delle sue forme ma soprattutto per il suo contenuto perché ci permette di osservare e capire la beauty routine della sua proprietaria: scopriamo quindi che Merit amava prendersi cura della sua pelle grazie a creme a base di grasso e ovviamente non rinunciava al suo guḫlu (quello che oggi chiamiamo con il nome arabo kohl o il nome indiano kajal) che conservava in un tubetto in vetro decorato e munito dell’apposito bastoncino applicatore.

Il trucco occhi non era appannaggio esclusivo delle donne: in Egitto così come in tutto il Vicino Oriente l’occhio rappresentava un importante mezzo espressivo e comunicativo la cui salute veniva preservata con questo specifico impasto nero (a base di carbone e antimonio o da manganese ferro e galena) che fungeva da disinfettante.

Curiosamente questi affascinanti e salutari rituali di bellezza di matrice orientale non attecchirono facilmente nel mondo greco e romano.

Il primo cosmetico ad essere demonizzato fu il profumo: agli inizi del VI secolo a. C. il legislatore ateniese Solone ne vietò l’uso ai suoi concittadini in quanto simbolo di una seducente moda orientale che poco si confaceva al mondo ellenico.

Anche nell’antica Roma il profumo non era molto apprezzato, la ragione di questa avversione ce la spiega Plinio il Vecchio (23 d.C. - 25 agosto 79 d.C.)  che nella sua Naturalis Historia dichiara come il profumo fosse << tra i lussi il più vano. […] infatti perle e gemme passano agli eredi, le vesti durano nel tempo, i profumi si dissolvono istantaneamente e muoiono appena nati>>. Secondo Seneca (I secolo d. C.) invece era assurdo vantarsi di emanare un odore non emesso dal proprio corpo.

Inoltre i prezzi delle fragranze all’epoca erano davvero esorbitanti, pari allo stipendio di un centurione: un costo eccessivo per un prodotto il cui stesso nome pro fumus ("che va in fumo", "vapore che si espande") ne suggerisce l’evanescenza.

La straordinaria capacità del trucco di trasformare il volto terrorizzava e  preoccupava i romani <<la sua faccia non dorme con lei>> con queste parole il poeta Marziale (I secolo d. C.) descrive incredulo una donna di nome Galla e la sua passione per trucco e parrucco. 

Le donne romane invece erano affascinate dal potenziale creativo dei prodotti di bellezza e grazie all’aiuto di schiave dette ornatrices si sedevano su uno sgabello, scannum, o su una poltroncina con i braccioli, cathedra, e si lasciavano truccare con gioia.

 
 
Dopo aver applicato maschere e unguenti le ornatrices stendevano sul viso della loro domina la biacca, o bianco di piombo, mescolata con miele e sostanze grasse: il tono della pelle doveva apparire molto chiaro, pallido se si volevano evidenziare le proprie pene d’amore. La terra di Selina come un moderno blush colorava le guance donando un aspetto sano e curato. L’ematite, un cristallo grigio azzurro una volta veniva polverizzato e steso come una cipria rendendo l’incarnato più luminoso. L’antimonio, stibium, o il nero fumo, fuligo, aiutavano a ridisegnare le sopracciglia e l’attaccatura delle ciglia. Molto diffusi erano anche gli ombretti, ottenuti dalla polverizzazione di pietre minerali e conservati all’interno di piccole conchiglie bivalve. Tra i colori più diffusi vi erano l’azzurro e il verde ottenuti rispettivamente dall’azzurrite e dalla malachite. La ricetta del Kohl era differente da quello egizio: oltre all’antimonio si utilizzavano anche l’inchiostro di seppia, il nerofumo di datteri arrostiti o addirittura formiche abrustolite.

Spopolavano a Roma anche i rossetti in particolare nelle tonalità rosse e aranciate. La loro composizione tuttavia era davvero allarmante poiché i pigmenti impiegati erano il minio (ossido di piombo) e il cinabro (solfuro di mercurio) ovvero due sostanze tossiche.


Incuriosisce inoltre la passione per i nei, che venivano disegnati in determinati punti del viso trasmettendo diversi messaggi di seduzione.

Come moderne first lady le mogli degli imperatori dettavano legge in fatto di moda e di acconciature e grazie a parrucche, tinture colorate e ferri arroventati le combinazioni creative nel corso del tempo sono state davvero tante. Una delle occasioni più importanti per sfoggiare la propria messa in piega consisteva nelle uscite a teatro dove <<a vedere viene la donna e per essere veduta: luogo fatale, questo, al suo pudore>>, come ci testimonia il poeta Ovidio (43 a.C. - 18 d.C.).

La ricerca della “bella presenza” intrigava ovviamente anche gli uomini, particolarmente interessati a ottenere un sorriso smagliante grazie a dentiscalpium, ovvero una sorta di stuzzicadenti di manifattura greca, e al dentifricium una polvere a base bicarbonato di sodio che, come suggerisce il nome, andava frizionata sui denti. C’era addirittura chi ricorreva ad un collutorio molto curioso e dal forte potere smacchiante, l’urina.

In epoca romana inoltre venivano praticati anche piccoli interventi di chirurgia estetica ed è sorprendente scoprire come si potesse già operare una malformazione come il labbro leporino.

La cura della pelle affascinava indistintamente sia uomini che donne. Le matrone adoravano applicare maschere con ingredienti di origine vegetale come miele, cereali o finocchi, senza disdegnare anche l’efficacia di quelle con ingredienti di origine animale che annoveravano tra le materie prime anche placenta, midollo, corna o sterco: comprendiamo così il senso delle parole di Ovidio quando afferma <<ma che l’amante non vi colga con i vasetti delle vostre creme. L’arte che vi fa belle sia segreta>>.

La ceretta, anche integrale, era considerata un ottimo mezzo per curare al meglio la propria igiene personale, come faceva ad esempio Cesare. L’imperatore Augusto invece preferiva applicare gusci di noce arroventati sulle sue gambe per far crescere peli più morbidi.

Testimonianze, reperti archeologici e racconti ci testimoniano come il tema della bellezza, della cosmesi e del prendersi cura di se stessi e del proprio corpo abbia sempre incuriosito e affascinato sia l’universo maschile sia quello femminile perché rappresenta una scelta, una possibilità di giocare con se stessi e con la propria immagine.

Ovidio rappresenta forse uno degli autori più aperti e moderni quando nei Medicamena facei feminae senza falsi moralismi scrive, rivolgendosi alle donne, quello che potrebbe essere considerato un messaggio universale:

 << culta placent.[…] Laudatas homini volucris Iunonia pennas explicat et forma muta superbita vis.[…] Prima sit in vobis morum tutela, puellae:ingenio facies conciliante placet. Certus Amor morum est; formam populabitur aetas, et placit rugis vultus aratus erit>>

“Ciò che è curato piace. […] Il pavone, caro a Giunone, dispiega le penne ammirate dall’uomo e inorgoglisce, nel suo silenzio, per la propria bellezza. […] Per prima cosa, o donne, curate il vostro carattere: se l’indole è gradevole piace anche l’aspetto. L’amore per il carattere è sicuro, la bellezza la devastano gli anni, e il volto un tempo attraente sarà solcato da rughe”.

 

Giovannina Annarumma


 Testi di riferimento

  • Vita e costumi dei romani antichi. Acconciature e Maquillage, Paola Virgili, Edizioni Quasar,1989. 
  • Ovidio. I cosmetici delle donne, Giampiero Rosati, edizioni Marsilio, Venezia 1985. 
  • Una giornata nell'antica Roma. Vita quotidiana, segreti e curiosità, Alberto Angela, Oscar Mondadori, Roma 2017. 
  • Vicino Oriente antico. La cura del corpoMarten Stol, Danielle Cadelli, Lucio Milano Storia della Scienza (2001), Enciclopedia Treccani.

 

 




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