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lunedì 30 novembre 2020

Gli inventori del blu e del verde


Quanto fascino ancora oggi desta nel nostro immaginario la civiltà Egizia! Dopo 5.000 anni restiamo folgorati nel vedere oggetti e mummie ancora intatti, quasi a volerci parlare dell'incredibile attenzione e cura che, in modo del tutto normale, si metteva nel decorare i luoghi della vita ultraterrena. Senza di essi, ma soprattutto senza il valore dato all'aldilà, non avremmo possibilità di conoscere questa e altre civiltà antichissime che hanno fondato sulla morte la loro esistenza.
Uno dei popoli tra i più incredibili nell'entrare in sintonia con il mondo naturale, sebbene poche fossero le conoscenze in merito a quel tempo, concentrato nel dare valore all'invisibile attraverso una comunicazione continua fatta di gesti, rituali, iscrizioni e soprattutto immagini.

Penso ai metri quadrati che ricoprono gli interni di molte piramidi, perfettamente conservati in molti casi grazie al sistema di realizzazione delle sepolture, per lo più interrate, ma soprattutto per il clima perfettamente asciutto. Se per ipotesi le Piramidi fossero state edificate ad una latitudine differente, ad esempio in una parte dell'Europa, oggi ben poco ne resterebbe.
Questo perchè la tecnica pittorica utilizzata non è l'affresco, ancora sconosciuto e del quale parliamo nell'articolo a lui dedicato. Le Piramidi sono infatti intonacate col muna, un composto a base di argilla, paglia e calcare, rivestito poi da un finissimo strato di gesso. Notoriamente igroscopico, il gesso, in presenza di sbalzi termici e quindi di umidità, avrebbe subito un susseguirsi di rigonfiamenti, ritiri, attacchi microbiologici che avrebbeo decretato la scomparsa della superficie pittorica. Questo non è avvenuto per la totale assenza di umidità ed i colori sono ancora incredibilmente vivi. 

Si è certi che a quel tempo, come nella Roma Imperiale o nel Medioevo, esistessero delle équipe di lavoro con i ruoli ripartiti tra gli intonacatori, i disegnatori che tracciavano i primi disegni con ocra rossa, gli scultori che incidevano i disegni in modo da dare un pò di rilievo e infine i pittori che utilizzavano 6 colori, con preciso significato simbolico: il blu, il verde, il nero, il giallo, il bianco ed il rosso.
E proprio il blu ed il verde sono i due colori che per la prima volta gli Egizi introducono nella tavolozza della pittura del tempo. Infatti, alle tonalità calde delle terre, al bianco delle pietre e al nero del carbone già noti nella Preistoria, si aggiungono i pigmenti forse più appariscenti e preziosi di tutta l'arte. La natura aveva regalato alla regione un'enorme quantità di pietre preziose e metalli, in particolare nel deserto al confine col Sudan, tra cui smeraldi, zaffiri, lapislazzuli, turchese e quarzo.

Dalla malachite e dall'azzurrite poi, in breve tempo, si cominciò ad estrarre il rame. Questi meravigliosi minerali furono anche sfruttati per ottenere il verde ed il blu, oltre alla celebre variante del blu egiziano (usato per il cielo e le divinità ad esso collegate) ottenuto riscaldando a 740°C una miscela di sali di rame, sabbia del deserto e calcite.

Il risultato è una tonalità intensa vetrosa, molto resistente, che successivamente a Roma si cercò di riprodurre per rivendere ad alto costo, spacciandola per l'originale. 
Le qualità migliori venivano macinate e ricotte fino a tre volte, talvolta messe in piccoli stampi per formare piccole statuine. Per questo lungo procedimento lo possiamo considerare il primo colore sintetico dell'antichità. 


Ma come possono essersi conservati così perfettamente questi colori per ben 5000 anni? Una volta esclusa la tecnica dell'affresco, l'unica che resta è un tipo di pittura a secco, vale a dire su superficie secca ( la muna a base di gesso) sulla quale i pigmenti aderiscono grazie ad un legante, cioè una colla. La sperimentazione deve aver portato, come di solito accadeva, a scegliere una sostanza naturale abbondante nel territorio. Si tratta della gomma arabica, una gomma naturale estratta da alcune specie di acacee presenti lungo il Nilo. Polverizzata ed unita con una piccola percentuale di acqua diventa il perfetto legante dei pigmenti in polvere, cioè una leggera ma perfetta soluzione colloidale che ingloba il colore e lo fa aderire alla superficie in fase di pittura. 
Neanche farlo apposta...quando noi utilizziamo gli acquerelli e vediamo uscire quel liquido giallo trasparente dai tubetti nuovi...vediamo proprio la gomma arabica. Questo vuol dire che oggi utilizziamo una tecnica pittorica antica quanto gli Egizi per creare su carta cose completamente differenti. 
E non è finita qui, prossimamente approfondiremo chi nella storia ha utilizzato lo stesso metodo ma su superfici e con soggetti completamente differenti. 

Cecilia Marzi


martedì 24 novembre 2020

La calce, il segreto che dura 2000 anni

Ci siamo mai chiesti perchè edifici costruiti nell'antica Roma sono ancora in piedi, alcuni incredibilmente intatti con gli intonaci di finitura? La loro perfetta conservazione non è dovuta all'interramento nei secoli o alle colate laviche che li hanno inglobati, penso a Pompei. Ci sono infatti innumerevoli esempi rimasti all'aperto come i lunghi acquedotti ancora visibili a tratti nelle campagne laziali o i mastodontici monumenti inseriti nella moderna urbanizzazione delle città, il Colosseo primo tra tutti. Se quest'ultimo non avesse subito lo spoglio nel Rinascimento di gran parte della struttura , sarebbe ancora lì, perfettamente integro nella sua armatura interna fatta di mattoni e calcestruzzo, rivestita di travertino bianco. 

Veniamo ora alle nostre case, agli edifici in cui lavoriamo e viviamo, ebbene tra 2000 anni saranno inesorabilmente scomparsi. Questo perchè durante le epoche moderne, e parlo del XIX° secolo, l'uomo ha deciso di utilizzare nuove tecniche edilizie e soprattutto nuovi materiali. L'onnipresente cemento armato che, per quanto l'opulente parola ce lo mostri come qualcosa di incorruttibile e potente, non riesce infatti a durare per più di 90 anni.

I ponteggi addobbano le facciate dei palazzi delle nostre città quotidianamente, a turno, intorno ad uno per passare poi ad un altro. Il cemento ha necessità di manutenzione continua, nonostante la sua capacità di creare grandi superfici orizzontali e verticali, pensiamo ai grattacieli. Ma gli edifici antichi ci battono sul tempo, oltre che in bellezza e non riusciamo oggi ad eguagliarli proprio perchè si usavano malte ed intonaci a base di calce.

Spesso confusa dai non addetti ai lavori con la stessa malta, in realtà è una sua componente, quella più importante. Materiale di origine naturale, scoperta già nella civiltà cretese per la realizzazione dei primi intonaci affrescati, diventa l'ingrediente essenziale di tutta l'architettura fino al 1800 circa, quando nell'era industriale viene sostituita dal cemento. 

Cerchiamo di comprendere la sua preparazione: la semplice trasformazione della roccia calcarea, presente un pò ovunque, che allo stato minerale si definisce calcite, veniva bruciata in grandi forni in cui le altissime temperature la disintegravano per ridurla in calce viva, altamente nociva. Con il suo immediato trasferimento in vasche piene d'acqua diventava calce spenta, una pasta morbida e bianca che i muratori di oggi non utilizzano più e a malapena conoscono. La calce spenta o idrata si mescola a componenti inerti come sabbia di fiume o polvere di marmo, creando un impasto cremoso che permette di costruire muri o intonacare superifici che dureranno secoli.

La calce idrata inserita nella malta, da impasto morbido e facilmente lavorabile, si inizia a seccare una volta messa in opera. L'acqua evapora e l'anidride carbonica presente nell'aria rigenera il processo naturale della carbonatazione, cioè torna come quando era in natura. La calce mescolata ai granelli di sabbia  torna ad essere calcite, pietra. Le superfici ed i muri realizzati così consentono quindi una durevolezza del tutto naturale, permettendo tra l'altro anche una normale traspirazione, generando ambienti sani e privi di muffe. Oggi in Puglia sono in essere alcuni progetti di edilizia a calce con ottimi risultati, l'inversione di rotta per fortuna inizia da qualche parte. 

A conclusione ricordo sempre il mio professore di Storia Medievale che entrando in aula la prima volta iniziò la sua lezione dicendoci che la storia non insegna...e lo sappiamo. Ecco perchè nelle nostre attività didattiche e nelle visite guidate ci soffermiamo sempre su questi aspetti, facendo anche utilizzare materiali di un tempo come la calce così da far rivivere la storia, nei laboratori di affresco e mosaico ad esempio, attraverso le mani di tutti.

Cecilia Marzi 

giovedì 12 novembre 2020

Lapislazzuli, il colore del cielo

 



Qual è il colore più amato, agognato e sognato di tutti i tempi?

Ovviamente il blu oltremare!

Durante i nostri laboratori ve ne abbiamo parlato tante volte perché vostra maestà il lapislazzuli rappresenta sicuramente il pigmento più ammaliante e prezioso nella tavolozza degli artisti e non solo.

Il suo nome esotico ha origini medievali: la parola lapis infatti deriva dal latino e significa “pietra” mentre la parola Làzulum rappresenta un adattamento della parola araba lāzuward che indica il colore azzurro.


I primissimi estimatori di questo colore di origine minerale furono sumeri, egizi e babilonesi che ci raccontano attraverso manufatti e costruzioni come questo colore fosse già noto seimila anni fa.

Esattamente ieri come oggi la varietà in assoluto più pregiata di lapislazzuli si trova in Afganistan, in particolare a nord-est, nella provincia del Badakhshan.

Meno pregiate, ma solo per composizione, sono le varietà provenienti dal Cile, dal Tibet, dall’Iran e dalla Cina. Possiamo citare inoltre anche l’Italia: studi recenti infatti hanno rinvenuto piccole quantità di questo minerale in stato terroso nei proietti provenienti dal Vesuvio e dai Colli Albani.

Giotto, Antonello da Messina, Michelangelo sono solo alcuni dei grandi maestri che hanno celebrato ed esaltato con le loro opere questa particolare varietà d’azzurro che veniva detto “oltremare” per la sua provenienza dall’altra parte del Mediterraneo.

officina delle arti antiche

Perché questo colore è così amato? Scopriamolo nel dettaglio. Osservando anche solo un piccolo frammento possiamo notare che il lapislazzuli rappresenta un’associazione di più minerali: la lazurite, che dà il colore di base, a cui si uniscono calcite, pirosseni, anfiboli, miche, e infine la splendida pirite che dona degli straordinari riflessi color oro.


Attenzione quindi a non definirlo come un semplice blu, perché potrebbe offendersi!

Sarebbe più opportuno quindi chiamarlo azzurro, ovvero il colore tipico del cielo quando è limpido e sereno: è infatti proprio per questo motivo che il lapislazzuli viene prevalentemente impiegato sia in scultura che in pittura per rappresentare temi di natura spirituale e religiosa.

 

Giovannina Annarumma

 

Il riciclo creativo di Anna

  Carissimi, oggi inauguriamo ufficialmente una rubrica a cui teniamo particolarmente, un piccolo spazio in cui approfondire e scoprire ...