lunedì 28 dicembre 2020

Pompei e gli affreschi intatti


Che meraviglia le rivelazioni delle ultime scoperte a Pompei! 
In una strada rimasta sepolta dal 79 d.C sotto un enorme strato di lapilli e pomice, torna alla luce un Termopolium con le anfore e le ciotole per la conservazione dei cibi. Un fast food del tempo che, come insegne per indicare la tipologia della merce venduta, aveva sotto il bancone delle pitture realizzate a colori vivissimi per invitare i passanti ad avvicinarsi e acquistare un pasto cucinato o semplicemente del vino. Un gallo, delle oche e il negozio stesso immortalato con i prodotti in vendita, risultano oggi perfettamente conservati, a parte i traumi subiti dall'eruzione, come se terminati da pochi mesi.
Le pennellate fanno immaginare la tipologia dei pennelli utilizzati e soprattutto la grande maestria che gli artisti del tempo erano soliti usare quando quotidianamente andavano a decorare domus, taberne e altri edifici. Tocchi di colore decisi e veloci danno forma a figure e paesaggi, probabilmente senza neanche disegni preparatori, per andare a decorare metri e metri quadrati di una delle città più uniche della storia.


Questa velocità, sicurezza ma anche precisione e cura nella scelta dei colori doveva necessariamente derivare da una buona dose di esperienza, oltre che da un ottimo bagaglio di conoscenze riguardo alla tecnica utilizzata. 
Trattato in un precedente articolo, l'affresco  diventa qui un momento di "sacro rapimento" per i cultori di questa incredibile tecnica (me per prima) che rimangono scorcertati per tale bravura e perfezione. 
La fortuna è quella di poter leggere ancora Vitruvio, il più importante architetto della storia, per comprendere le competenze che, non solo in pittura, esistevano in tutti i campi dell'arte romana. Nel 27 a.C egli descrive accuratamente i passaggi della preparazione del muro in cui dovevano sovrapporsi ben 6 strati di intonaco in modo da ottenere quelle superfici liscissime e compatte che, una volta dipinte, sembrano di marmo.
Nel VII° libro del De Architettura illustra la scelta dei primi tre strati che dovevano essere più grossolani, solo di sabbia e calce, elemento questo fondamentale nella realizzazione dell'affresco per il quale rimando all'articolo di approfondimento. Nei luoghi umidi si prevedeva addiruttura l'accortezza di sostituire la sabbia con la pozzolana o il coccio pesto, cariche inerti con proprietà idrauliche, cioè resistenti all'acqua.
Gli ultimi tre strati dovevano essere invece più raffinati e per questo si univa solamente la polvere di marmo alla calce. Quando l'ultima stesura era appena stata sovrapposta alle altre già asciutte, il pittore doveva iniziare a dipingere su questa superficie umida, da qui pittura a fresco! Ma rispetto alla sublime tecnica ancora mirabilmente utilizzata fino a tutto il Rinascimento e oltre, qui troviamo numerose accortezze e fasi in aggiunta che fanno dell'affresco romano un unicum. Sempre Vitruvio cita le politiones (puliture), cioè azioni meccaniche che avevano lo scopo di lucidare i colori. Da qui deduciamo la volontà di imitare le lastre di marmo che i più abbienti potevano destinare alle pareti delle loro lussuose dimore proprio attraverso una pittura compatta e perfettamente liscia, come evidenziano ancora i recenti ritrovamenti. 


Ma come avveniva tutto questo su una superficie ancora umida? Si utilizzava evidentemente il liaculum, uno strumento duro, forse una sorta di coltello in legno o metallo che veniva energicamente premuto sulle meravigliose basi monocome in giallo, verde, azzurro, rosso o nero tipiche dei motivi pittorici del tempo per compattare uniformemente la superficie ed il colore, fino a smaterializzare le pennellate e raggiungere quei fondi omogenei e perfetti che tutti conosciamo. Qui poi la bravura dell'artista  procedeva nel far apparire con veloci e sicuri colpi di pennello le meravigliose immagini di animali, divinità, paesaggi e quantaltro il ricchissimo repertorio del tempo offriva. Il lavoro del liaculum permetteva inoltre la fusione degli attacchi tra le giornate di lavoro, che invece sono di solito distinguibili negli affreschi più moderni. 
Risultato: pareti uniformi e lucenti, ricche di colori e immagini di ogni foggia che dovevano unirsi alla ricchezza decorativa dei mosaici pavimentali. 
Da quanto detto traspare quindi nelle modalità dell'uso dell'affresco, che di per sè è da considerarsi la tecnica pittorica più duratura della storia, delle peculiarità ben precise che sono presenti non soltanto a Pompei ma nella stragrande maggioranza dei dipinti romani.
Una variante standardizzata e codificata a qual tempo, assolutamente vincente nei suoi risultati che è stata ben indagata proprio grazie alla riscoperta della città simbolo sepolta per secoli all'ombra del Vesuvio in cui ancora, metri e metri quadrati di pittura stanno attendendo di rivedere la luce.
Qui non si può parlare assolutamente di encausto, anche se la letteratura è ricca di informazioni ancora contrastanti ed errate a tal proposito. Sarà mia cura dedicare ad esso un articolo specifico per rivelare quanto l'occhio del restauratore riesca a vedere oltre tutti gli altri.

Cecilia Marzi


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